Vino Novello, una categoria a parte

In questi giorni in diverse regioni italiane abbiamo visto scendere i primi fiocchi di neve. E mentre le temperature scendono, di fronte al camino acceso, ho deciso di onorare una delle classiche tradizioni gastronomiche toscane: le ultime caldarroste della stagione o bruciate, come le chiamiamo noi in toscana, insieme ad un buon calice di vino novello.

Il vino novello viene molto spesso confuso con il vino nuovo. Il nome, infatti, deriva dal francese vin primeur o vin nouveau, traducibile con primo vino o vino nuovo. In realtà questo prodotto rientra in una particolare tipologia di vino per il quale esiste una normativa con delle caratteristiche di produzione che lo rendono unico nel suo genere. La prima grande differenza risiede nella tecnica di vinificazione usata: la macerazione carbonica. 

Questa tecnica, fu ideata nel 1934 da un gruppo di ricercatori francesi della stazione scientifica di Narbonne, mentre cercavano un metodo di conservazione dell’uva con l’uso dell’anidride carbonica. L’uva invece di conservarsi fermentava spontaneamente, rendendola quindi inadatta alla commercializzazione. Provarono quindi a vinificare le uve, ottenendo un vino insolito, particolarmente profumato e piacevole, da gustarsi dopo poche settimane dalla vendemmia.

Ma in cosa consiste esattamente la macerazione carbonica? E perché è così diversa dalle altre tecniche di vinificazione?

Dopo la raccolta, i grappoli d’uva interi vengono inseriti all’interno di un serbatoio ermetico saturo con anidride carbonica. Quando la temperatura arriva a circa 30°C, grazie all’assenza di ossigeno e al metabolismo anaerobico intracellulare, all’interno di ogni acino parte una fermentazione alcolica a carico degli zuccheri e dell’acido malico, quest’ultimo degradato in un primo momento ad acido piruvico, poi ad aldeide acetica e infine ad alcool etilico. Durante questo processo, rispetto alle tradizionali tecniche di vinificazione, si producono notevoli quantità di glicerina, che danno al vino una grande morbidezza e molti composti volatili, come ad esempio il cinnamato di etile, dal caratteristico profumo di fragola e lampone. Mentre si innescano queste trasformazioni chimiche la buccia degli acini piano piano si indebolisce e l’uva si schiaccia sotto il suo stesso peso rilasciando il succo. La permanenza dell’uva all’interno del serbatoio varia a seconda della scelta stilistica del singolo produttore. Segue poi la pigiatura vera e propria dell’uva per completare il processo e si lascia che l’eventuale residuo zuccherino venga trasformato in alcol nel modo convenzionale. Il vino rosso che si ottiene è di un colore rosso intenso con tonalità violacee dagli aromi fruttati con un basso contenuto di tannini. 

A differenza dei nostri vicini d’Oltralpe, in cui ogni anno l’attesa per il Beaujolais si trasforma in una vera e propria festa popolare che coinvolge borghi, capoluoghi e grandi città, in Italia il vino novello non è ancora particolarmente diffuso, rappresentando meno del 2% della produzione enologica italiana. 

E se tradizione vuole che il miglior abbinamento in assoluto siano le castagne mi vengono in mente tante preparazioni in cui possiamo usare questo ingredienti. Con la farina, non solo dolci, ma anche paste fatte in case o delle zuppe che vedono la castagna insieme a legumi e verdure di stagione. Ideale anche con salumi e funghi.

Insomma il Novello si può inserire in una categoria “diversa”, con una sua dignità e un suo carattere che va apprezzato proprio come prodotto complementare al già ampio panorama enologico nazionale e internazionale. Senza chiedergli altro che quello che può mantenere: una bevuta agile e decompressa, e un accompagnamento gaudente alla tavola invernale.