Ostriche!
Lo stesso Schliemann, proprio lo “scopritore” di Troia, durante gli scavi a Micene si trovò di fronte a enormi cumuli di gusci d’ostriche che ad evidenza costituivano una base importante della dieta di quel popolo. Realtivamente facile da pescare e da aprire, facile da preparare, se ne può immaginare un consumo quotidiano comune.
Furono i Romani a trasformare le ostriche da cibo povero a prodotto di lusso (e lussuria), visto che soprattutto in età imperiale se non erano impegnati a scannarsi con qualche nemico si dedicavano con altrettanta determinazione a immensi banchetti, quelli descritti da Petronio nel Satyricon. Una occasione ulteriore per dimostrare il genio logistico dei Romani antichi: se da un lato è storicamente dimostrato che le ostriche arrivavano anche dalla Britannia, ci si chiede come fosse possibile mantenerle fresche se non addidirttura vive durante quelle infinite e disagevoli traversate.
Certo è che l’ostricoltura sulle coste francesi era già attiva in epoca storica.
Nel corso dei secoli poi si sono accumulate le leggende sul consumo di ostriche, dal presunto potere afrodisiaco stigmatizzato dal Savonarola alle oscure proprietà medicinali vaneggiate altrove: quasi una scusa per consumare questi molluschi, quasi che la loro deliziosa voluttuosità gastronomica fosse insufficiente a giustificarlo. E l’altro detto popolare, che le ostriche sono “buone” nei mesi con la erre…L’uso era di cuocerle, preferibilmente alla brace: dobbiamo attendere il lascivo per eccellenza, quel Giacomo Casanova che ne facevo uso smodato, per sdoganarne il gesto sensuale del consumo a crudo, con le mani e direttamente dal guscio.
Grandi mangiatori nella storia, a bizzeffe, da Balzac che fu visto consumarne cento, a Hemingway che ne faceva fuori due dozzine con la vinaigrette e grandi libagioni di champagne.
Le ostriche oggi sono coltivate con un processo non semplicissimo: dalla raccolta delle larve, alla cura dei neonati che dura ben oltre un anno, fino alla crescita degli esemplari adulti ed il successivo affinamento nelle “claires”, i bacini in cui i molluschi si liberano delle impurità per raggiungere quella finezza e delicatezza che ce le fa amare. Non ostante nei locali specializzati si propongano a volte interi menu con diverse varietà (e sottovarietà) del prezioso bivalve, i tipi di ostriche sono solo due: le concave e le piatte, queste ultime più pregiate. A loro volta le ostriche piatte si trovano bianche - le “belon” - e verdi, le Marennes. Il loro consumo principe è a crudo, e anche su questo si scatenano i gastronomic e gastrosofi: chi le ama “nature” e chi le vuole con limone, non ostante questo gesto sia considerato eretico dai puristi - quorum ego - perchè impedisce di apprezzare a fondo il complesso aroma dei molluschi.
In tempi moderni grandi chef si sono prodigati in esperimenti interessanti, al vapore, al forno, fritte, emulsionate: ma il consumo a crudo resta riferimento inarrivabile di sensualità.
Grandioso antipasto sulla tavola di San Silvestro, chiama nell’immaginario uno spumante Metodo Classico, quasi obbligatorio lo champagne: eppure in Francia, lungo i chioschi, non raramente ti trovi dei bianchi fermi, o il Muscadet.
Noi siamo laici: quel che più piace va bene. E in calce, un augurio di uno straordinario anno nuovo da tutta la redazione di Vivere di Gusto!
“ Mangiando le ostriche, con quel forte sapore di mare e quel leggero sapore metallico, che il vino ghiacciato cancellava lasciando solo il sapore di mare e il tessuto succulento, e mentre bevevo da ogni valva il liquido freddo e lo innaffiavo col frizzante sapore del vino, quella sensazione di vuoto sparì e cominciai ad essere felice e fare progetti.”
[E. Hemingway]