Isola del Giglio
Eh si, mi sono sentito proprio come i ragazzini che vanno in gita scolastica. Impaziente di partire e curioso di tornare al Giglio dopo più di trent’anni.
Compagni d’avventura: un giornalista enogastronomico di fama nazionale e un “vinattiere” rufinese di lungo corso.
Siamo quasi alla fine di settembre ed è già entrato in vigore l’orario invernale del traghetto, quindi niente levataccia. Prendiamo quello delle 14 e approdiamo sull’isola un’ora e qualcosina più tardi.
La giornata è splendida e anche la temperatura è molto gradevole.
Il traghetto non è proprio una freccia e ci permette di assaporare con lo sguardo il magnifico promontorio dell’Argentario prima di addentrarsi nell’Arcipelago toscano. All’attracco tutto sembra come trent’anni fa e questa sensazione, peraltro positiva, mi accompagnerà per tutta la permanenza.
Il Giglio ti accoglie bene, anche perché ad aspettarci c’è un caro amico compaesano e produttore di vino gigliese “Calzo della Vignia” (nome e imprecisione grammaticale derivano da una vecchia carta dell’isola), vino che è in carta alle tre rane nella sezione amici di Ruffino, di cui poi parleremo. Simone ci fa da cicerone e ci conduce al suo meraviglioso podere raccontando storie e aneddoti di un’isola che non è sempre stata il posto incantevole che tutti conosciamo.
All’epoca dei Medici, ad esempio, nessuno voleva amministrarla e i pochi che si facevano convincere scappavano dopo poche ore. Percorriamo la strada panoramica che va da Porto verso Giglio Castello -parte montana dell’isola- per poi girare a sinistra verso podere Saetta; qui si trovano due palmenti di epoca romana ben conservati.
Prima vera testimonianza che al Giglio il vino lo hanno sempre fatto.
Arriviamo al calzo e lo spettacolo non delude: sotto di noi la baia di Campese con vista sull’antica miniera che, scopriremo poi “responsabile” del colore della spiaggia del terzo paese del Giglio. Di fronte a noi l’isola di Montecristo, mentre alle spalle di quella del famoso Conte di Dumas compare l’isola d’Elba, che con il suo monte in bella evidenza ci accompagna alla degustazione arricchendo un tramonto già mozzafiato.
Simone ci fa notare come l’isola non sia un corpo unico ma l’unione di due in uno: dove siamo noi, distaccatosi dalla Sardegna e quindi roccia granitica e l’altro dal continente, quindi galestrosa.
Iniziamo una degustazione verticale del Calzo della Vignia -di cui assaggiamo 6 annate- che ci porterà a fare le ore piccole. Un vino che, bevuto qui nella sua terra, con questo panorama diventerà un pezzo del vostro cuore enoico.
Al tavolo della cena si uniscono due amici gigliesi DOC: lui, Massimo, macellaio di Campese e Castello e lei figlia di Santi (il più famoso ristoratore del Giglio oggi purtroppo scomparso) e oggi splendida e verace conduttrice delle degustazioni al Calzo. La cena (e il vino) elevano ulteriormente la qualità della visita, mentre i racconto sulla vita quotidiana locale ci fanno immergere in una realtà fatta di tanti sacrifici.
Dopo la scuola media è necessario traslocare in continente e spesso in convitto. Non ci sono cinema né teatri, ma neanche l’ospedale e cosi tanti altri servizi sono carenti.
"Allora perché si sta al Giglio?” Domandiamo.
“Quest’isola ce l’hai dentro. Ti puoi allontanare per un periodo, ma poi ti tocca tornà” ci risponde Massimo mentre sul tavolo corre una specialità gigliese: la tonnina. Tonno essiccato e poi rigenerato, servito con due cipolline fresche e due olive. Poi c’è la pizza gigliese con cipolla stufata, pecorino e olive.
Massimo da buon macellaio ha portato le salsicce.
Dopo tante belle bottiglie sbocciate si lascia la parola a una chicca più unica che rara: il Sangiovese del Giglio, il cui vitigno -un tempo- era coltivato in abbondanza, finchè l’Ansonico (qui lo chiamano al maschile) ha preso il sopravvento. Simone ne fa ancra 100 magnum e le vende solo sull’isola.
Anche per questo il viaggio s’ha da fare.
L’indomani alla ripartenza sono consapevole che non passerà tanto tempo prima che torni al Giglio. Lo farò quanto prima perchè questa piccola isola ti rimane subito nel cuore e non ne puoi più stare lontano; anche se talvolta conviene mantenere le distanze...
Compagni d’avventura: un giornalista enogastronomico di fama nazionale e un “vinattiere” rufinese di lungo corso.
Siamo quasi alla fine di settembre ed è già entrato in vigore l’orario invernale del traghetto, quindi niente levataccia. Prendiamo quello delle 14 e approdiamo sull’isola un’ora e qualcosina più tardi.
La giornata è splendida e anche la temperatura è molto gradevole.
Il traghetto non è proprio una freccia e ci permette di assaporare con lo sguardo il magnifico promontorio dell’Argentario prima di addentrarsi nell’Arcipelago toscano. All’attracco tutto sembra come trent’anni fa e questa sensazione, peraltro positiva, mi accompagnerà per tutta la permanenza.
Il Giglio ti accoglie bene, anche perché ad aspettarci c’è un caro amico compaesano e produttore di vino gigliese “Calzo della Vignia” (nome e imprecisione grammaticale derivano da una vecchia carta dell’isola), vino che è in carta alle tre rane nella sezione amici di Ruffino, di cui poi parleremo. Simone ci fa da cicerone e ci conduce al suo meraviglioso podere raccontando storie e aneddoti di un’isola che non è sempre stata il posto incantevole che tutti conosciamo.
All’epoca dei Medici, ad esempio, nessuno voleva amministrarla e i pochi che si facevano convincere scappavano dopo poche ore. Percorriamo la strada panoramica che va da Porto verso Giglio Castello -parte montana dell’isola- per poi girare a sinistra verso podere Saetta; qui si trovano due palmenti di epoca romana ben conservati.
Prima vera testimonianza che al Giglio il vino lo hanno sempre fatto.
Arriviamo al calzo e lo spettacolo non delude: sotto di noi la baia di Campese con vista sull’antica miniera che, scopriremo poi “responsabile” del colore della spiaggia del terzo paese del Giglio. Di fronte a noi l’isola di Montecristo, mentre alle spalle di quella del famoso Conte di Dumas compare l’isola d’Elba, che con il suo monte in bella evidenza ci accompagna alla degustazione arricchendo un tramonto già mozzafiato.
Simone ci fa notare come l’isola non sia un corpo unico ma l’unione di due in uno: dove siamo noi, distaccatosi dalla Sardegna e quindi roccia granitica e l’altro dal continente, quindi galestrosa.
Iniziamo una degustazione verticale del Calzo della Vignia -di cui assaggiamo 6 annate- che ci porterà a fare le ore piccole. Un vino che, bevuto qui nella sua terra, con questo panorama diventerà un pezzo del vostro cuore enoico.
Al tavolo della cena si uniscono due amici gigliesi DOC: lui, Massimo, macellaio di Campese e Castello e lei figlia di Santi (il più famoso ristoratore del Giglio oggi purtroppo scomparso) e oggi splendida e verace conduttrice delle degustazioni al Calzo. La cena (e il vino) elevano ulteriormente la qualità della visita, mentre i racconto sulla vita quotidiana locale ci fanno immergere in una realtà fatta di tanti sacrifici.
Dopo la scuola media è necessario traslocare in continente e spesso in convitto. Non ci sono cinema né teatri, ma neanche l’ospedale e cosi tanti altri servizi sono carenti.
"Allora perché si sta al Giglio?” Domandiamo.
“Quest’isola ce l’hai dentro. Ti puoi allontanare per un periodo, ma poi ti tocca tornà” ci risponde Massimo mentre sul tavolo corre una specialità gigliese: la tonnina. Tonno essiccato e poi rigenerato, servito con due cipolline fresche e due olive. Poi c’è la pizza gigliese con cipolla stufata, pecorino e olive.
Massimo da buon macellaio ha portato le salsicce.
Dopo tante belle bottiglie sbocciate si lascia la parola a una chicca più unica che rara: il Sangiovese del Giglio, il cui vitigno -un tempo- era coltivato in abbondanza, finchè l’Ansonico (qui lo chiamano al maschile) ha preso il sopravvento. Simone ne fa ancra 100 magnum e le vende solo sull’isola.
Anche per questo il viaggio s’ha da fare.
L’indomani alla ripartenza sono consapevole che non passerà tanto tempo prima che torni al Giglio. Lo farò quanto prima perchè questa piccola isola ti rimane subito nel cuore e non ne puoi più stare lontano; anche se talvolta conviene mantenere le distanze...